Position paper
La dinamica della pianificazione familiare in Italia: un equilibrio tra la prevenzione di un distress psicofisico e la consapevolezza della fertilità
DOI 10.23753/htafocus2022.01.001
Silvano Costa [1], Rosetta Papa [2]
[1] Specialista in ginecologia, Centro Medico Caravelli, Bologna
[2] Specialista in ginecologia, Docente di Management e Coordinamento dei Servizi Sanitari e Socio-Sanitari, Facoltà di Scienze Sociali, Università Federico II, Napoli
Corresponding author: Silvano Costa - costa.silvano@libero.it
Abstract
Family planning (FP) enables the informed development of a reproductive project by understanding time, number of births, and temporal spacing. In Italy, the utilization of contraceptives, which are an essential prerequisite for FP, is still rather intricate, since only 13.8%-16.2% of women of childbearing age are employing hormonal contraceptives.
The European Contraception Policy Atlas indicates a low level of contraceptive usage in Italy yet (59.3% overall), placing our country in the 22nd place.
The term unplanned pregnancy (UP) refers to an early onset pregnancy or one that is completely unexpected. In Italy, one pregnancy out of four is unplanned and 50% of UPs result in a voluntary termination of pregnancy (VTP). Data elaborated by ISTAT in 2018, report 76,328 VTPs that determine an estimated expenditure of approximately € 88 million incurred by the National Health Service (NHS).
The analysis of the data pertaining to clandestine VTPs, and emergency contraception makes it possible to estimate more accurately the number of women potentially eligible for appropriate contraception intended at preventing VTPs. This number would correspond to 160,102 (CI95%: 131,980 - 190,451) women and could generate a net expense for the NHS of € 164 (CI95%: 135.2 - 195.1) million, excluding additional costs associated with occurring complications and days of hospitalisation exceeding the average.
Real world evidence demonstrates that an increasing use of long-acting reversible contraceptives is associated with a statistically significant reduction in the abortion rate, which was 15.8% (p = 0.0005) in girls aged 18-19 and 14% (p < 0.01) in 20-24 in England and Finland, respectively.
Data about conscientious objection reveal that the average number of objecting gynaecologists is 3,369 (± 215), corresponding to about 70% (69.4% ± 1.6%) of the total. Removing or reducing the barriers that limit access to FP methods should ensure that women can make informed decisions about their motherhood.
Key words: Family planning, contraception, unplanned pregnancy, voluntary termination of pregnancy (VTP), economic impact of VTP, conscientious objection
Pianificazione familiare
Con il termine pianificazione familiare (PF) si denota il consapevole sviluppo di un progetto riproduttivo che comprende la definizione del numero delle nascite, la collocazione temporale e il distanziamento auspicabile. Il significato attuale, tuttavia, si limita a considerare la sola pianificazione della prole e, quindi, fa riferimento principalmente a interventi rivolti a ridurre la natalità. A livello familiare, risponde a esigenze economiche e professionali. La PF può essere attuata anche tramite azioni di politica sanitaria pubblica, con l’obiettivo di consigliare appropriati comportamenti individuali e di coppia, tramite indirizzi e azioni di sostegno o educativi sulle conseguenze derivanti da specifiche scelte. Il controllo delle nascite, durante il 20° secolo, è stato attuato essenzialmente mediante l’uso di metodi anticoncezionali sempre più sicuri ed affidabili o con il ricorso all’aborto [1,2].
La realtà contraccettiva, presupposto essenziale per la pianificazione familiare, è stata e, per alcuni versi è ancora, piuttosto articolata, soprattutto in alcune parti del mondo. Oltre a fattori di disuguaglianza, si possono verificare anche carenze di politiche di tutela della salute riproduttiva, con esiti che possono essere molto rilevanti, come nel caso del ricorso alle interruzioni clandestine di gravidanza che espongono le donne ad elevato rischio di mortalità o di definitiva infertilità.
Gravidanza imprevista
Per gravidanza imprevista (GI) si intende quella insorta precocemente rispetto ad una pianificazione familiare stabilita dalla coppia, o quella del tutto inattesa [2]. Si stima che le gravidanze impreviste siano globalmente 121 milioni/anno [Intervallo di Credibilità al 90% (ICr 90%): 112,8-131,5 milioni], corrispondenti a circa il 48% (ICr 90%:46%-51%) del numero totale delle gravidanze, pari a un tasso di 64 GI per 1.000 donne di età compresa fra i 15 e 49 anni [3].
Le GI rappresentano un rilevante problema sociale e un potente fattore destabilizzante per la salute psico-fisica della donna e del nucleo familiare di cui fa parte. In effetti, queste gravidanze si associano ad un aumentato rischio di morbilità e possono generare un ragguardevole onere economico, considerando la prospettiva sociale [4]. Una gravidanza imprevista crea spesso una condizione di isolamento, lasciando la donna da sola ad operare scelte molto complesse sulla possibilità di tenere il bambino, di darlo in adozione o di ricorrere all’aborto [5].
Per ciò che concerne gli effetti sulla salute, si è stimato che la madre e il bambino abbiano più probabilità di sviluppare malattia o di decedere precocemente [6]. Nello specifico, per le madri adolescenti, nelle quali è più complessa la pianificazione della gravidanza, è più alto il rischio, rispetto alla media, di osservare anemia grave, tossiemia, complicanze cliniche nel periodo che precede la nascita (ipertensione gravidica, parto prematuro) e decesso [7].
I figli non intenzionalmente concepiti sono a rischio più elevato di nascere con un peso inferiore a 2,5 Kg o di morire nel primo anno di vita; mentre altrettanto elevato rimane il rischio, rispetto alla media, di vivere in condizioni fortemente disagiate e di non ricevere risorse sufficienti per uno sviluppo sano e armonico [6]. Lo studio First Thousand Days, condotto dal Murdoch Childrens Research Institute di Sydney, con l’intento di esaminare i fattori che influenzano lo sviluppo infantile, ha dimostrato che le condizioni fisiche ed emotive registrate all’atto della nascita influenzano le probabilità di sviluppi positivi o negativi durante la vita [8]. Stress, dieta, malattie materne e tossicità ambientale sono alcune delle principali informazioni che raggiungono l’embrione e il feto durante la vita intrauterina. Tali input potrebbero esercitare un ruolo adattativo biologico orientando le reazione del nascituro a ciò che accadrà dopo il parto [9].
In questo contesto, appare evidente l’importanza di permettere un’ampia accessibilità ai metodi di pianificazione familiare, particolarmente a quelli che presentano elevata efficacia teorica e, soprattutto, elevata effectiveness pratica. Eliminare o ridurre le barriere che limitano l’accesso ai metodi di pianificazione familiare può permettere alla donna di operare scelte consapevoli e informate sulla maternità, in base a esigenze specifiche e nel pieno rispetto del proprio convincimento. È fondamentale, in questo particolare momento, riconoscere il significato di preservare, per ogni donna, indipendentemente dallo status socio-economico, il valore di una scelta consapevole ed equilibrata sulla fertilità.
Gravidanza imprevista ed interruzione volontaria di gravidanza
Il 61% circa (ICr90%: 58%-63%) delle GI nel mondo esitano in interruzione volontaria di gravidanza (IVG), per un totale di 73,3 milioni/anno di IVG, pari a 39 per 1.000 donne [3]. Donne molto giovani, single e adolescenti sono a rischio di GI, a cui si associano spesso uno scarso supporto familiare e un elevato tasso di ricorso all’aborto [5].
In Italia, una gravidanza su 4 è imprevista e il 50% delle GI esita in una IVG. Il dato elaborato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) per l’anno 2018, riporta un numero di 76.328 IVG, mentre nel 2019 si sono registrate 174,5 IVG per 1.000 nati vivi con un incremento pari a 0,4% rispetto al 2018, anno in cui questo valore è stato pari a 173,8 per 1.000 [10-12]. La netta maggioranza delle IVG, il 62% dei casi, si colloca nella fascia di età compresa tra 25 e 40 anni, mentre si registra in circa il 2,6% dei casi nelle minorenni (equivalente a 2.001 ragazze) [10].
Per ciò che concerne il rapporto di abortività, occorre sottolineare che nel confronto tra il 2019 e il 2018 i nuovi nati sono diminuiti di 19.723 unità. L'andamento del rapporto di abortività (un indicatore direttamente correlato alle condizioni della natalità) calcolato per il periodo che va dal 1983 al 2019, suddiviso per ripartizioni geografiche, è riportato in Tabella 1 [10,12].
L’analisi per ripartizione geografica e regionale evidenzia tassi più elevati tra le 20-24enni nel Nord-Centro Italia e tra le 30-34enni del Sud; il dato è influenzato anche dal differente effetto del contributo delle straniere, in quanto la loro presenza non è omogenea sul territorio nazionale. Infatti, negli ultimi 15-20 anni è andato crescendo il numero delle IVG riscontrato nelle cittadine straniere, che presentano caratteristiche socio-demografiche diverse rispetto alle cittadine italiane [10,12]. In generale, le donne straniere rappresentano la popolazione a maggior rischio di IVG, in tutte le classi di età. Permane, comunque, differente la distribuzione italiana dei tassi di abortività per classi di età rispetto a quella di diversi Paesi industrializzati occidentali. In questi Paesi, infatti, i valori più elevati si osservano nella classe 20-24 anni, mentre in Italia si hanno tassi di abortività abbastanza elevati anche nelle donne di età 30-39 anni rispetto a quelli delle classi più giovani [10,12].
Caratteristiche delle donne che fanno ricorso alla IVG
Per interpretare in dettaglio i dati relativi al ricorso all’IVG e promuoverne la prevenzione, nei termini previsti dalla legge n. 194 del 1978, è utile analizzare le caratteristiche delle donne che fanno ricorso all’aborto volontario [10-12]. La progressiva diminuzione dei tassi di abortività specifici per alcune condizioni socio-demografiche determinano una corrispondente modificazione delle distribuzioni percentuali delle IVG, con un maggiore peso relativo delle condizioni nelle quali la riduzione è stata minore. Inoltre, si devono tenere in considerazione le diverse caratteristiche socio-demografiche delle donne straniere rispetto alle italiane, visto il crescente peso del loro contributo sui dati dell’abortività volontaria in Italia, fino a raggiungere quasi un terzo dell’incidenza. Le cittadine straniere presentano, infatti, una tendenza al ricorso all’aborto volontario tre volte maggiore e differente per età.
Questo spiega, almeno in parte, le modifiche che si sono osservate sia nei tassi di abortività per età, sia negli andamenti delle distribuzioni percentuali in funzione delle seguenti diverse caratteristiche esaminate [10,12]:
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Classi di età: nel 2019 si è osservato un aumento delle IVG nella classe di età 35-39 anni e una diminuzione per le classi di età 20-24 e 40-44 rispetto al 2018. Anche nel 2019, la percentuale più elevata si è osservata per le donne di età 30-34, pari al 22,3% (Figura 1);
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Minorenni e IVG: è stata registrata una stabilità del dato generale negli anni 2018-2019 (2,6% di tutte le IVG), ma inferiore al 2,8% del 2017 e soprattutto al 3,4% del 2008, con il ricorso all’IVG pari a 2,3 per 1.000 nel 2019, 2,4 nel 2018, 2,7 nel 2017 e 5,0 nel 2005. Nel 2019, prima che il Covid-19 influisse anche sulla natalità, in una regione del Nord come la Lombardia, 317 ragazze tra i 14 e i 17 anni hanno interrotto volontariamente la gravidanza, 7 sono andate incontro ad aborti spontanei e 110 hanno portato a termine la gravidanza [13];
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Stato civile: rispetto al primo decennio dall’entrata in vigore nel 1978 della regolamentazione che ha disciplinato le modalità di accesso all’interruzione di gravidanza, in cui prevaleva nettamente la percentuale di IVG effettuate da donne coniugate, negli anni si è osservata una tendenza prima alla parificazione della distribuzione percentuale tra coniugate e nubili e, a partire dal 2014-15, una prevalenza delle nubili. Nel 2018, la distribuzione percentuale per stato civile mostra un 36,3% di coniugate e un 56,3% di nubili (Tabella 2) [10,14];
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Titolo di studio: Nel trentennio 1981-2011, il tasso di abortività è diminuito tra le donne con diploma di scuola superiore o laurea (da 14 per 1.000 nel 1981 a 6 per 1.000 nel 2011), mentre, dopo un’iniziale diminuzione, è rimasto costante tra quelle con diploma di scuola media inferiore dal 1991. Il tasso delle donne con titolo di studio basso non si è modificato nel tempo, anzi nell’ultimo anno in cui è disponibile il dato (2013), mostra valori in aumento [10,12];
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Stato occupazionale: Se analizziamo il fenomeno in funzione del livello occupazionale, si evince che la percentuale più alta di donne che ricorre all’IVG si registra nelle occupate (n = 34.182; 44,8%). Tuttavia, combinando il numero delle disoccupate con quello delle donne in cerca di prima occupazione e delle casalinghe si osserva un valore sovrapponibile (n = 32.617; 42,7%) a quello precedentemente menzionato per le occupate (Tabella 3) [10,14];
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Cittadinanza: i dati relativi alla cittadinanza delle donne che ricorrono all’IVG è iniziata in maniera sistematica dal 1995. In quell’anno, si sono registrate 8.967 cittadine straniere che avevano effettuato una IVG in Italia. Questo valore è cresciuto negli anni per l’aumento dell’inclusione di cittadini stranieri nel nostro Paese, raggiungendo un massimo nel 2007 con 40.224 IVG. Da allora, si è osservata una stabilizzazione del numero di IVG e successivamente un decremento [12]. Nel 2019, le IVG effettuate da cittadine straniere sono 21.259 corrispondenti al 29,2% del dato nazionale, in leggera diminuzione rispetto a quello del 2018 e del 2017 (30,3%) e a quello degli anni precedenti (30,0% nel 2016, 31,1% nel 2015 e 33,0% nel 2014) [12].
IVG ripetute
Le IVG ripetute costituiscono una criticità che merita un monitoraggio costante e un’analisi accurata dei presupposti che le determinano. La causa più frequente è rappresentata da una condizione di disagio socio-economico della donna, ma le IVG ripetute possono anche rappresentare un campanello d’allarme per l’esistenza di violenza intra-familiare. Nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI 98-2000) [15] le IVG ripetute si ritengono un indicatore di esito negativo per il Percorso IVG. Si riscontrano nel 27% circa delle donne italiane e nel 38% delle straniere, evidenziando la significativa rilevanza del fenomeno [10,12,14]. Il problema potrebbe essere controllato supportando le donne che richiedono IVG ripetute con un più efficace counselling sulla contraccezione. Vi è, infatti, evidenza che l’utilizzo di metodi contraccettivi sicuri, applicabili già al momento dell’intervento, sarebbero in grado di ridurre considerevolmente il rischio di una nuova interruzione di gravidanza sia nelle adolescenti sia nelle donne in età riproduttiva [16-18]. Al riguardo, un recente lavoro ha rilevato che una metodica contraccettiva applicata contestualmente all’IVG medica, ha diminuito significativamente il rischio di gravidanze impreviste successive rispetto al gruppo di controllo: 0,8% (2 su 277) in confronto a 3.8% (10 su 261); p = 0,018 [19]. Tuttavia, solo il 13,8%-16,2% delle donne in età fertile fa ricorso a metodi contraccettivi ormonali: al Nord la contraccezione si attesta al 18%, al Centro al 13% e al Sud al 7,6% con Campania, Basilicata e Molise al 6% [20,21]. In Lombardia si osserva un 19% e in Sardegna, da sempre in controtendenza rispetto al trend nazionale, un 28%.
IVG clandestine
Per ciò che concerne l’abortività clandestina, dagli inizi degli anni ‘80 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) produce delle stime basate su specifici modelli matematici. L’ultima stima si riferisce al 2012 e, nonostante i limiti strutturali associati alla metodica impiegata (es. diminuzione delle donne in età fertile, aumento della popolazione straniera, variazione dei comportamenti riproduttivi con tendenza ad avere un numero inferiore di figli, spostamento dei concepimenti in età più avanzata e mancanza di dati sulla diffusione di metodi contraccettivi), è stato calcolato che il numero delle IVG clandestine risulta compreso tra 12.000 e 15.000 [10,12]. Si è provveduto anche a stabilire il valore delle IVG clandestine tra le donne straniere. Il dato si colloca in un intervallo incluso tra 3.000 e 5.000. Un’evoluzione del modello, modificato per considerare le variazioni della struttura della popolazione in età fertile, delle tendenze della fecondità e della contraccezione, è stata realizzata congiuntamente da ISS e ISTAT nel 2016. Seppure con risultati associati a margini di incertezza degni di nota, le nuove stime confermano quanto computato in precedenza. Il modello, infatti, ha restituito valori di IVG clandestine compresi tra i 10.000 e i 13.000 casi [10,12].
Sequele psichiche e fisiche delle IVG
La facoltà di interrompere una gravidanza rappresenta una condizione di inalienabile convincimento e deliberazione soggettiva, garantita dalla normativa. Ciò nonostante, non può essere trascurato che in particolari situazioni di fragilità, il ricorso all’IVG possa avere effetti sulla salute mentale e fisica ed esporre la donna ad un non trascurabile rischio di complicanze che possono condizionare il benessere, avendo impatto sulla qualità di vita [7,22,23].
Una gravidanza imprevista, soprattutto se associata al fallimento di un metodo contraccettivo naturale ritenuto erroneamente sicuro, come il coito interrotto, l’amenorrea legata alla lattazione non controllata o il calcolo dei giorni fertili, è stata riconosciuta tra i fattori di rischio per l’insorgenza della depressione post-partum [24].
Un’analisi sistematica di letteratura, condotta nel 2008 e incentrata sulla frequenza a lungo termine delle eventuali sequele psicologiche riconducibili ad IVG, ha evidenziato che tali condizioni risultano relativamente rare e dovrebbero essere comprese nel quadro di una normale ed attesa reazione a un evento stressogeno; in particolare, quando si applicano appropriati criteri metodologici di correzione per fattori di rischio concomitanti [25]. Anche la metanalisi pubblicata nel 2011 dall’Academy of Medical Royal Colleges ha riportato un risultato sovrapponibile [26]. Nella pubblicazione si conclude, che nel caso di una gravidanza imprevista, il rischio per la salute mentale è simile sia nel caso in cui la donna decida di interrompere la gravidanza che nel caso in cui decida di portarla a termine. È la gravidanza imprevista e non il ricorso all’aborto ad aumentare il rischio di impatto sulla salute mentale della donna [26].
Per quanto complessivamente sicura, si possono osservare delle possibili complicazioni legate alla pratica abortiva, sia essa chirurgica che medica.
Uno studio che ha analizzato i fattori di rischio di eventi avversi su oltre 22.000 donne sottoposte ad aborto medico e circa 20.000 sottoposte ad aborto chirurgico, ha rilevato che l’aborto medico ha un rischio di complicanze circa quattro volte più elevato dell’aborto chirurgico: 20% contro 5,6%; p < 0,001 [27]. Inoltre, si è rilevato un rischio maggiore di emorragia, di aborto incompleto e di una nuova evacuazione chirurgica [27].
In una valutazione condotta più recentemente su una serie di 30.146 IVG, si è verificata la necessità di un ulteriore intervento di isterosuzione (per sanguinamento persistente o per mancata interruzione della gravidanza) nel 2,1% dei casi di aborto farmacologico, rispetto ad uno 0,6% dell’IVG chirurgica (Odds Ratio 1,6; IC95%: 1,1-2,3; p < 0,001) [28]. In questo studio, tuttavia, non si sono osservate differenze significative nella frequenza di insorgenza di complicanze maggiori tra le metodiche oggetto di comparazione [28].
Contraccezione e metodi contraccettivi
Durante la Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, svoltasi al Cairo nel 1994 e organizzata dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), ben 179 paesi stabilirono che ”…sviluppo e popolazione sono strettamente collegati, e che l'empowerment delle donne così come una risposta effettiva ai bisogni di istruzione e salute, ivi compresa la salute riproduttiva, sono strumenti fondamentali per il miglioramento delle condizioni di vita individuali e per uno sviluppo equo e sostenibile”. Tra gli altri obiettivi, si legge ”… nette riduzioni della mortalità materna, perinatale e della mortalità infantile al di sotto dei 5 anni” ; ed, infine, ”…l'accesso universale entro il 2015 ai servizi per la salute riproduttiva e sessuale, compresi tutti gli strumenti per una sicura e affidabile pianificazione familiare“ [29].
Relativamente alle differenti frequenze di impiego dei contraccettivi, lo European Contraception Policy Atlas sintetizza l’attuale condizione esaminando 45 paesi europei, incluse Turchia, Ucraina, Russia, Georgia e Azerbaijan [30]. Più del 43% delle gravidanze in Europa sono impreviste (non pianificate). I contraccettivi sono usati dal 69,2% delle donne, sposate o conviventi, tra i 15 e i 49 anni, una percentuale più bassa sia degli USA sia dell’America Latina [30]. Belgio, Regno Unito e Francia si collocano al primo posto dell’Atlante e nella Francia, inoltre, si evidenzia anche il più alto tasso di natalità [31]. A dimostrazione che nei Paesi sviluppati la fecondità assume un carattere sincrono con l’attenzione alla salute sessuale e riproduttiva. I Paesi della cosiddetta vecchia Europa sono posizionati nella parte più alta del ranking, mentre in fondo si osservano Bosnia e Russia, superate solo dalla Polonia.
L’Italia è inclusa tra i paesi nei quali si riscontra un livello ancora ridotto di utilizzo della contraccezione (59,3% complessivamente), posizionandosi al 22° posto [31]. Tale condizione è confermata dai dati di altre due graduatorie stilate rispettivamente dal Population Reference Bureau [32] e dalle Nazioni Unite [33] nel 2019. Nel nostro Paese il ricorso ai metodi contraccettivi moderni è inferiore a quello di altri paesi in generale e comparabile a quello riscontrato nei paesi dell’Europa dell’Est, nei quali si evidenziano modeste frequenze medie di impiego (Tabella 4) [32].
Sulla base dei dati elaborati dall’ISTAT, tra i metodi contraccettivi più utilizzati si osservano: il profilattico (42,4%), la pillola estroprogestinica (24,3%), il coito interrotto (17,5%), altri metodi naturali (4,2%), i dispositivi intrauterini (4%), gli anelli vaginali (2,1%), il cerotto transdermico (1,5%), la sterilizzazione (1,4%) e il diaframma (1,2%) [34].
Il limitato ricorso alla contraccezione in Italia è confermato dai dati di vari studi e valutazioni. Una ricerca condotta dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) su donne di età compresa tra i 21 e 29 anni, ha evidenziato che il 24,8% utilizza sistemi poco sicuri per evitare una gravidanza imprevista: il 17,5% ricorre alla pratica del coito interrotto, il 4,2% si affida ai metodi naturali e il 3,1% ”alla buona sorte“ o ad altri rimedi [35]. In un'altra analisi, sempre condotta dalla SIGO, è stato rilevato che il 42% delle ragazze < 25 anni non utilizza alcun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale. Rispetto ad una precedente ricerca, si è registrato un aumento del 5% delle giovanissime che affronta il debutto sessuale senza utilizzare nessuna precauzione, mentre il 43% utilizza il profilattico, 1% un cerotto o anello e solo il 14% un contraccettivo orale [36].
Gravidanza imprevista e metodi di contraccezione
Le principali cause di gravidanza imprevista sono correlate principalmente a tre fattori:
a) mancato uso di un metodo contraccettivo;
b) uso improprio di un metodo contraccettivo;
c) fallimento di un metodo contraccettivo.
Mentre nel primo caso risulta ovvia la causa della GI, nel secondo invece è opportuno ricordare che l’efficacia di un metodo è strettamente dipendente dal corretto uso dello stesso e dalla compliance al suo impiego [37,38].
Il 50% circa di tutte le gravidanze impreviste si verifica nelle donne che fanno uso di metodi contraccettivi; di queste, il 90% risulta associato ad un utilizzo scorretto del metodo, mentre solo nel 10% dei casi si riscontra il fallimento del metodo stesso [37-39]. Un uso non corretto del contraccettivo è per esempio rappresentato dalla mancata assunzione quotidiana della pillola per dimenticanza, mentre una limitata compliance al metodo usato è data dalla discontinuità del trattamento che si verifica, in caso di contraccezione orale, nel 31% entro 6 mesi dall’inizio o addirittura nel 44% dei casi dopo un anno [40,41].
Le scelte contraccettive includono metodi:
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ormonali (come i contraccettivi orali, transdermici, vaginali, sottocutanei, o intrauterini) e
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non-ormonali (come i metodi di barriera, meccanici e/o naturali costituiti dal diaframma vaginale, dal condom maschile e femminile o dall’astinenza durante la fase ovulatoria).
Tutti i metodi menzionati sono caratterizzati da diversi gradi di efficacia contraccettiva.
Contraccezione di emergenza o post coitale
Parallelamente al ridotto impiego dei metodi contraccettivi abituali, è stato osservato un considerevole incremento della contraccezione di emergenza o post coitale, che ha l’obiettivo di offrire alle donne un’ultima possibilità per ridurre il rischio di una gravidanza imprevista [10,12]. Nel 2019, il numero totale delle donne che ha deciso di avvalersi della contraccezione di emergenza è stato pari a 548.142, vale a dire oltre il 6% dell’intera popolazione femminile di età compresa tra 18 e 45 anni [12].
I farmaci a cui si ricorre maggiormente sono l’Ulipristal acetato, il cui uso è notevolmente aumentato passando da 145.101 confezioni vendute nel 2015 alle 259.644 del 2019, e il Levonorgestrel (LNG), passato da 161.888 confezioni vendute nel 2015 alle 288.498 del 2019 (Figura 2) [10,12].
Nell’ottobre del 2020, è stato abolito l’obbligo della prescrizione per la dispensazione alle minorenni di Ulipistral acetato e, come riportato nella relazione del Ministro della Salute al Parlamento per l’anno 2018, “…l’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza ha inciso positivamente sulla riduzione delle IVG” [10]. Alla stessa conclusione è giunto uno studio che ha analizzato gli effetti della rimozione dell’obbligo della prescrizione dei contraccettivi di emergenza in diversi paesi europei. La facilitazione dell’accesso alla contraccezione d’emergenza ha determinato la diffusione di questa metodica che è stata associata ad una riduzione delle gravidanze impreviste e degli aborti, soprattutto tra le adolescenti [42].
Sebbene possa contribuire alla riduzione delle IVG, il ricorso alla contraccezione d’emergenza non può essere considerata una misura appropriata per la prevenzione delle gravidanze impreviste, soprattutto quando l’obiettivo specifico è quello di assicurare per la contraccezione di emergenza un uso raccomandato [12,43-45]. Infatti, la contraccezione di emergenza non è adatta ad un uso regolare e non deve mai sostituire un metodo contraccettivo abituale, ma deve essere considerata un presidio di riserva da utilizzarsi nei casi imprevisti [46].
Impianto contraccettivo sottocutaneo
Uno dei metodi statistici impiegati per misurare l'efficacia di un contraccettivo è costituito dall’indice di Pearl che correla il periodo totale di esposizione (mesi/anni) delle donne al contraccettivo nel trial clinico con il numero di gravidanze osservate. L’utilizzo dell’impianto contraccettivo sottocutaneo presenta il vantaggio di fornire una contraccezione sicura e a lungo termine, indipendentemente da quei fattori che possono ridurre la compliance della donna alla terapia. Ciò, in associazione alla costante inibizione dell’ovulazione, consente il raggiungimento di un indice di Pearl pari a 0,031, vale a dire quasi il massimo dell’efficacia contraccettiva osservata nei trial clinici [47].
Nella comparazione sulle probabilità di fallimento dei diversi metodi contraccettivi condotta negli USA, durante il primo anno di utilizzo e follow-up fino a 5 anni, si evidenzia che l’impianto sottocutaneo a base di solo progestinico Etonogestrel (ENG) [48] è risultato uno dei più efficaci, con appena lo 0,05% di gravidanze impreviste nel primo anno di impiego e tasso cumulato di gravidanze di 0,6 per 100 anni-donna (IC95%: 0,2-1,8) a 5 anni, calcolato con metodica di Kaplan-Meier [40, 49].
L’impianto di ENG è ideato per garantire una stabile inibizione dell’ovulazione. Inoltre, l’inserimento ogni tre anni, affidato al medico, o comunque a personale sanitario appositamente formato e qualificato, riduce significativamente, se non elimina del tutto, le occasioni di assunzione non corretta, come verificato dalla completa coincidenza tra i dati di efficacia registrati nelle condizioni di uso perfetto (o teorico) e di uso comune (nella vita reale) [40]. L’accettazione dell’impianto ENG è molto elevata, come indicato dalla persistenza al trattamento dopo un anno pari all’84%. Per contro, i contraccettivi ormonali orali (estroprogestinici e solo progestinici) hanno un tasso di gravidanze impreviste pari al 9% dopo il primo anno di uso comune, ed una continuità al trattamento pari al 67% [40].
L’ENG rilasciato dall’impianto sottocutaneo è un ormone progestinico di terza generazione, con un profilo farmacologico molto specifico. Infatti, possiede un’affinità per i recettori del progesterone superiore a quella del Noretisterone (NET), progestinico di riferimento della prima generazione, e con il Levonorgestrel (LNG) progestinico di riferimento della seconda generazione [50]. L’affinità per i recettori androgenici è molto bassa, certamente inferiore a quella del LNG e del Gestodene (GSD), uno dei progestinici della terza generazione più frequentemente utilizzati. Allo stesso tempo, l’ENG evidenzia una capacità di legame con il recettore estrogenico prossima allo zero. L’indice di selettività dell’ENG, inteso come rapporto tra l’affinità di legame per il recettore del progesterone e quella per il recettore androgenico, è particolarmente elevato (es. 40,0) e, comunque, assai più alto di quello di altri progestinici (26,0 per il GSD; 8,8 per il LNG; 5,0 per il NET) [51]. Se si considera che l’ENG si lega alla Sex Hormone Binding Globulin (SHBG) solo per il 32%, lasciando fondamentalmente inalterato il potere tampone antiandrogenico della globulina vettrice a sintesi epatica, l’impiego di tale progestinico a dosi contraccettive è sostanzialmente privo di effetti androgenici. Infine, l’ENG ha un’emivita particolarmente prolungata, intorno alle 25 ore, cosa che lo rende particolarmente adatto per un uso long-acting [48,52].
Impianto sottocutaneo di Etonogestrel: tollerabilità e profilo di sicurezza
Un’altra chiara evidenza relativa alle caratteristiche dell’impianto di ENG consiste nella ridotta frequenza e nella lieve entità degli effetti indesiderati osservati, da cui ne consegue un elevato profilo di sicurezza e tollerabilità. Ciò è stato riscontrato nelle adolescenti, nelle giovani donne e nelle donne di età più avanzata (nullipare o pluripare) [53-65].
I motivi che sostengono questo elevato profilo di sicurezza e tollerabilità sono dipendenti dalle proprietà farmacocinetiche dei metodi long-acting, in generale, e di quelli dell’ENG, in particolare [48, 66]. Poco dopo la somministrazione, infatti, lo steroide si attesta su valori di concentrazione plasmatica che esercitano un’azione efficace per tutto il periodo di utilizzo e questo con indici di massa corporea anche molto variabili (< 25 e > 30 Kg/m2) [67-69].
In questo modo, si riducono o si eliminano i picchi plasmatici di steroide, indotti dall’assunzione giornaliera, mantenendo le concentrazioni al di sopra dei limiti minimi necessari per esercitare il meccanismo contraccettivo (es. inibizione dell’ovulazione), e riducendo significativamente l’area sotto la curva della concentrazione plasmatica dello steroide [65,67-69].
Poiché tutti gli effetti indesiderati degli steroidi contraccettivi sono dose-dipendenti, livelli circolanti generalmente più bassi si associano a migliori profili di tollerabilità e sicurezza [53,54,60,61,63-65]. I metodi contraccettivi ormonali long-acting sono assorbiti per via parenterale. Tale via non prevede l’assorbimento intestinale e il passaggio epatico con l’eventuale, seppur parziale, metabolizzazione [48]. Ciò consente di utilizzare dosaggi inferiori di principio attivo, stante la non necessaria attivazione da primo passaggio epatico (posto a monte degli organi bersaglio); inoltre, il mancato transito intestinale previene gli effetti indesiderati associati a tale via e garantisce dai rischi di ridotta efficacia in caso di patologie gastro-intestinali acute (vomito, diarrea) o croniche.
Efficacia dell’impianto di Etonogestrel: risultati clinici e dati di Real World Evidence
In uno studio che ha coinvolto 1.404 ragazze di 14-19 anni, è stato computato il valore delle gravidanze impreviste registrate in un periodo di 2 anni. I più elevati tassi di insuccesso della contraccezione sono stati osservati con il patch transdermico, l’anello vaginale e con il contraccettivo orale [64]. Con l’ENG non sono state riportate gravidanze in un periodo di esposizione pari a 633,3 anni-donna (Tabella 5) [64].
I valori estremi, calcolati considerando una sufficiente rappresentatività del campione di popolazione femminile interessata, sono costituiti dalla Regione Emilia Romagna con una percentuale media di 50,6 ± 1,8 e dalla Regione Campania che registra un valore di 80,2 ± 2,2.
Una breve disamina concernente l’efficienza delle risorse allocate per la pianificazione familiare e la prevenzione del ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza deve essere infine effettuata considerando l’organizzazione consultoriale. Nel 2019 sono stati censiti 1.945 consultori, una quota corrispondente al 65% del numero ritenuto adeguato in funzione della dimensione demografica (1 consultorio per 20.000 abitanti, ovverosia circa 3.000 strutture deputate), secondo quanto riportano nelle raccomandazioni della legge 34/96 [12]. Inoltre, tra quelli censiti, i consultori familiari che hanno dichiarato di effettuare attività di IVG corrispondono al 69,2% del totale, pari a 1.346 consultori. In definitiva, la percentuale delle strutture effettivamente operanti alle quali le donne potrebbero rivolgersi dovrebbe corrispondere al 45% del valore del fabbisogno stimato.
A ciò, è opportuno aggiungere un fenomeno di progressivo depotenziamento nelle strutture consultoriali di personale qualificato, in particolare di alcune figure strategiche per il percorso integrato consultorio-centro IVG come l’assistente sociale. Un certo grado di depotenziamento si è osservato nonostante quanto previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017, pertinente ai nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), in cui si delinea all’articolo 24, una riqualificazione delle attività consultoriali tra i vari ambiti propri della maternità, paternità e della procreazione responsabile [99].
Tra le attività finalizzate al supporto della pianificazione familiare responsabile, la quasi totalità dei consultori riferisce di prescrivere la contraccezione orale e fornire informazioni sui metodi naturali e meccanici. Tra i metodi meno frequentemente citati e per i quali si rilevano importanti differenze geografiche si riportano i LARCs (es. IUD e impianti sottocutanei), offerti molto di più al Nord che al Centro e al Sud (Figura 6) [100].
Conclusioni
La prevalenza globale delle donne di età compresa fra i 15 e i 49 anni, nella fase riproduttiva della loro vita, sposate o conviventi, è cresciuta dal 54,8% al 63,3% negli anni dal 1990 al 2010; negli stessi anni è scesa dal 15,4 al 12,3 la percentuale di donne che non è riuscita a pianificare la nascita dei figli perché non ha avuto la possibilità di usare contraccettivi, pur non volendo avere altri figli o volendo ritardarne la nascita. L’aumentata consapevolezza globale della pianificazione familiare e l’incremento della popolazione mondiale hanno determinato una crescita della domanda di contraccezione delle donne, passata dai 900 milioni del 2010 ai 962 milioni del 2015. Un fattore importante, ma poco considerato per contribuire ai bisogni insoddisfatti, è rappresentato da una limitata o inadeguata scelta di metodi anticoncezionali, da un uso improprio di un metodo contraccettivo e da una limitata compliance al suo impiego [101].
Nonostante il tema interessi una vastissima parte di popolazione, esso occupa spazi assai ridotti nell’ambito della comunicazione e, pertanto, necessita di maggiore attenzione. In un contesto come quello attuale, in cui l’accesso alle informazioni sembra apparentemente a portata di mano, ci si deve porre la domanda sul grado effettivo di consapevolezza delle donne nell’esercizio della scelta del metodo contraccettivo e sulle figure professionali di riferimento deputate al counselling.
Prendersi cura in ogni fase della vita, fin dalla più giovane età, della propria salute sessuale e riproduttiva significa preservare e proteggere il proprio benessere nel suo complesso, da cui la necessità di fare scelte consapevoli per un corretto utilizzo della pianificazione familiare, ricordando come il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, rappresenti comunque una scelta complessa (dolorosa e difficile) [102].
L’utilizzo dell’impianto contraccettivo sottocutaneo presenta il vantaggio di fornire una contraccezione sicura e a lungo termine, indipendentemente da quei fattori che possono ridurre la compliance della donna alla terapia. Ciò, in associazione alla costante inibizione dell’ovulazione, consente il raggiungimento di un indice di Pearl pari a 0,031, vale a dire il massimo dell’efficacia contraccettiva osservata nei trial clinici. Nella comparazione sulle probabilità di fallimento dei diversi metodi contraccettivi con follow-up fino a 5 anni, si evidenzia che l’impianto sottocutaneo a base di Etonogestrel è risultato uno dei più efficaci in assoluto. Inoltre, la somministrazione ogni tre anni, affidata al medico, o comunque a personale sanitario, riduce significativamente le occasioni di utilizzo imperfetto, come verificato dalla completa coincidenza tra i dati di efficacia registrati nelle condizioni di uso teorico e di uso nella vita reale. L’accettazione dell’impianto sottocutaneo è molto elevata, come indicato dalla persistenza al trattamento dopo un anno pari all’84%, mentre i contraccettivi ormonali orali evidenziano un tasso di GI notevolmente superiore ed una elevata discontinuità al trattamento.
Da un punto di vista economico, il progressivo utilizzo di un contraccettivo sottocutaneo potrà contribuire efficacemente a ridurre la spesa sanitaria diretta indotta dalla necessità di ricorrere alle IVG, ad un costo economicamente sostenibile. La riduzione attesa dei costi generati dalle IGV si osserva al netto degli altrettanto considerevoli oneri sociali (costi indiretti associati alla perdità di produttività, di competitività e a quelli gravanti sulla previdenza sociale) che devono essere ovviamente sostenuti per le donne in età produttiva. L’impianto sottocutaneo può permettere di gestire la crescente richiesta di una più accurata e consapevole pianificazione familiare e di una efficiente prevenzione dalle IGV nelle ragazze, nelle giovani adulte e nelle donne che vivono una condizione di vulnerabilità.
Finanziamenti
La ricerca è stata realizzata senza finanziamenti di organizzazioni pubbliche o private.
Conflitto di interessi
Gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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Elenco delle abbreviazioni
DMPA: Depot MedroxyProgesterone Acetate
DRG: Diagnosis Related Group
ENG: Etonogestrel
FP: Family Planning
GI: Gravidanza Imprevista
GSD: Gestodene
IC95%: Intervallo di Confidenza al 95%
ICr90%: Intervallo di Credibilità al 90%
ISS: Istituto Superiore di Sanità
ISTAT: Istituto Nazionale di Statistica
IUD: IntraUterine Device
IVG: Interruzione Volontaria di Gravidanza
LAM: Lactational Amenorrhoea Method
LARC: Long-Acting Reversible Contraceptive
LEA: Livelli Essenziali di Assistenza
LNG: Levonorgestrel
ND: Non Disponibile
NHS: National Health Service
NICE: National Institute for Health and Care Excellence
NET: Noretisterone
OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità
PF: Pianificazione Familiare
SHBG: Sex Hormone Binding Globulin
SIGO: Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia
SSN: Servizio Sanitario Nazionale
UNFPA: Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione
UP: Unplanned Pregnancy
VTP: Voluntary Termination of Pregnancy
In una recente pubblicazione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in collaborazione con la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, ha stilato una graduatoria dell’effiacia dei metodi di pianificazione familiare [70]. La loro efficacia varia considerevolmente in funzione della metodica e deve essere attentamente tenuta in considerazione durante la fase di confronto e decisione con le donne interessate o eleggibili alla contraccezione. Gli impianti come l’ENG sono inclusi e valutati tra i metodi contraccettivi più efficaci in assoluto, anche considerando che non richiedono alcun intervento (o pochissimi) da parte della donna (Tabella 6) [70].
Tra i dati di real world evidence disponibili, è interessante esaminare lo studio condotto da Connolly et al., in cui è stata dimostrata una correlazione statisticamente significativa tra l’utilizzo dei Long-Acting Reversible Contraceptives (LARCs), tra i quali l’impianto di ENG, e la riduzione del tasso di concepimento e parimenti di quello di abortività nelle ragazze inglesi di età inferiore a 18 anni [71].
Lo studio, in effetti, ha esaminato la frequenza di impiego degli impianti intrauterini e sottocutanei per un periodo di 14 anni (dal 1998 al 2011) in ragazze e donne di età compresa tra 15 e 44 anni.
Nello specifico, il tasso di concepimento per 1.000 ragazze di età inferiore a 18 anni si è ridotto del 34,1%, passando da 46,6 su 1.000 del 1998 al 30,7 su 1.000 del 2011 (p < 0.0001). Il tasso grezzo di abortività, considerato come proxi di gravidanze impreviste nelle minorenni (età pari a 15-17 anni) non ha raggiunto la significatività statistica nella prima parte dello studio; ma a partire dal 2007 (Figura 3) si è registrata una riduzione statisticamente significativa del tasso grezzo di abortività corrispondente al 24,6% (p = 0,0047) [71].
Anche nel gruppo delle ragazze di 18-19 anni di età si è osservato un incremento della frequenza di impiego dei LARCs nel corso dell’intero periodo. Tale incremento, tuttavia, è stato particolarmente evidente a partire dal 2007 e, da quel momento in poi, l’utilizzo dei LARCs è risultato associato ad una riduzione statisticamente significativa del tasso di abortività pari al 15,8% (p = 0,0005) (parte A della Figura 4) [71]. Allo stesso modo, ma con un’ampiezza inferiore, è stata riportata una correlazione statisticamente significativa tra la riduzione del tasso grezzo di abortività e l’impiego dei LARCs nelle ragazze inglesi di 20-24 anni di età (p = 0,0016) (parte B della Figura 4).
L’analisi delle frequenze di uso dei LARCs ha evidenziato un’espansione media corrispondente al 89,7%, rispetto al periodo iniziale, nelle ragazze e donne coivolte nello studio. L’aumento maggiore, da 3 a 6 volte, si è osservato rispettivamente nei gruppi di età 15-17 e 18-19 anni. Quando si è presa in considerazione la tipologia del LARC, è stato rilevato che l’incremento più significativo ha interessato l’impianto contraccettivo sottocutaneo di ENG, aumentato di 228 volte in confronto al valore inizialmente registrato nel 1998.
Più recentemente, un risultato sovrapponibile a quello riportato in Inghilterra è stato osservato in Finlandia e pubblicato nel 2018. L’obiettivo dello studio era quello di valutare gli esiti dell’incremento dell’utilizzazione dei LARCs sulla frequenza delle GI nella popolazione generale in un periodo compreso tra il 2000 e il 2015 [72]. L’incremento di 2,2 volte dei LARCs (da 1,9 a 4,2 su 1.000) è stato associato ad una riduzione statisticamente significativa del tasso di abortività pari al 16% (p < 0,001) nella popolazione complessivamente coinvolta. In particolare, il decremento è stato del 36% (p < 0,001) nelle ragazze di età 15-19 anni e del 14% (p < 0,01) in quelle di età 20-24 anni [72].
Indicazioni preferenziali per l’impianto sottocutaneo rispetto ad altre tipologie di contraccettivi
Come evidenziato nello studio pubblicato da Trussel et al., sui fallimenti dei diversi metodi contraccettivi stabiliti nel corso del primo anno di utilizzo, all’impianto sottocutaneo di ENG si attribuisce la più elevata efficacia contraccettiva, rispetto agli altri metodi considerati (ormonali e non), con un tasso di fallimento pari allo 0,05% ed un livello di persistenza al metodo equivalente all’84% [40].
Nel corso dei trial clinici condotti con ENG non si sono verificate gravidanze impreviste [Pearl index osservato pari a circa 0 (IC95%: 0,00-0,14)] [47,48]. Nello specifico, a differenza dei contraccettivi orali e di altri metodi reversibili, l’impianto sottocutaneo di ENG non si basa sull’auto-somministrazione da parte della donna. Quindi, la compliance non rappresenta un limite per ottenere la sua piena efficacia.
L’impianto sottocutaneo di ENG costituisce un contraccettivo a base di solo progestinico con un profilo di tollerabilità superiore a quello della combinazione estroprogestinica (si evitano così i potenziali effetti indesiderati connessi agli estrogeni), tanto che l’OMS ne raccomanda l’uso nelle donne che necessitano di contraccezione ormonale pur essendo a rischio di patologie cardiovascolari, a rischio di eventi tromboembolici, nelle pazienti affette da cefalea/emicrania con aura e in quelle con marcato sovrappeso [73].
Altra importante differenza, rispetto ad altre procedure contraccettive, è data dal fatto che l’impianto sottocutaneo può essere utilizzato contestualmente all’interruzione volontaria di gravidanza [48]. Diverse pubblicazioni riportano una significativa diminuzione del tasso delle gravidanze impreviste nelle donne nelle quali l’impianto sottocutaneo era stato inserito contestualmente alla IVG o immediatamente dopo il parto [57,58,74-77]. Questo dato è molto importante, soprattutto per favorire e sostenere il ritorno delle donne al consultorio familiare e stabilire, congiuntamente all'interessata, la scelta di un appropriato metodo contraccettivo dopo il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza.
In Tabella 7 si riportano le condizioni clinico-demografiche nelle quali proporre il ricorso a contraccettivi LARCs, in funzione di specifiche caratteristiche differenziali.
Stima dell’impatto economico complessivamente indotto dalle IVG
Sulla base dei dati pubblicati dal Ministero della Salute è stato possibile stimare l’ammontare dei costi diretti sanitari complessivi, determinati dalle visite specialistiche, dalle procedure diagnostiche eseguite, dai costi alberghieri inerenti i ricoveri e dall’utilizzo dei farmaci [10,12]. Tali costi sono integrati nelle tariffe per le prestazioni sanitarie associate ai Diagnosis Related Group (DRG) che, nello specifico, sono identificati dai codici 380 (IVG realizzata mediante procedura medica) e 381 (IVG realizzata mediante procedura chirurgica) [91].
Nel 2018, l’onere totale dei costi sanitari diretti gravanti sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è risultato pari a € 78,2 milioni (Tabella 8).
Tale valore rappresenta una sottostima della spesa reale. In effetti, non contempla i costi assorbiti dalle prestazioni professionali offerte dai consultori (personale medico, infermieristico, di supporto psicologico) nelle fasi che precedono e che seguono l’IVG. Inoltre, non comprende i costi della gestione delle complicanze correlabili all’intervento (es. emorragia o infezione) e che nel 2018 ha interessato 414 donne (pari allo 0,55% del totale) [10]. Infine, non considera quanto concorrano all’incremento di spesa il numero delle giornate di degenza che superano quanto prestabilito nel tariffario delle prestazioni. Nel 2018, secondo quanto descritto nel report della remunerazione teorica per DRG, estratto dai dati sull’attività di ricovero ospedaliero [92], il totale delle giornate di ricovero in regime ordinario e diurno (dovute a complicanze e a giornate extra) dovrebbe aver determinato un aggravio della spesa riportata in tabella 8 compreso tra gli € 8 e i 10 milioni, per un totale aggiornato di circa € 88 milioni.
Ulteriori fattori che, di fatto, producono una sottovalutazione economica del fenomeno IVG sono espressi dalle interruzioni di gravidanza clandestine e dal ricorso all’utilizzo della contraccezione di emergenza, di cui, in entrambi i casi, le donne si fanno interamente carico. Anche per la computazione dei dati indicati in Tabella 9, si è preso avvio dalle informazioni pubblicate dal Ministero della Salute [10-12].
Assumendo che il numero mediano delle IVG clandestine sia pari a 12.105 (range: 10.000-13.000), la sommatoria della spesa pubblica e privata (vale a dire quella a carico delle cittadine) assorbita dalle interruzioni volontarie di gravidanza corrisponderebbe a € 90,6 milioni (IC95%: € 88,4-91,5 milioni) [10,92]. In tale condizione, il numero delle donne che ricorre all’interruzione di gravidanza risulta pari a 88.433 (range: 86.328-89.328). Quando alle IVG si sommano i costi sostenuti per l’acquisto di Ulipistral e Levonorgestrel, l’onere economico indotto dal totale delle IVG (registrate e clandestine) sostenuto dal SSN e dalle private cittadine supera € 103 milioni (IC95%: € 101,1-104,2 milioni).
La disponibilità della contraccezione di emergenza, se da una parte può contribuire a ridurre il ricorso alle IVG in ambito pubblico, dall’altra può permettere di dimensionare con maggiore accuratezza il numero delle cittadine potenzialmente eleggibili per una contraccezione finalizzata a prevenire una IVG. Infatti, dall’analisi dei dati di farmacoutilizzazione dei contraccettivi di emergenza (548.684 casi nel 2018), è possibile calcolare la probabilità di concepimento imprevisto per un gruppo di donne della stessa dimensione ed età (stessa stratificazione ufficialmente osservata per le IVG), a partire dalle curve di decadimento della fertilità in funzione dell’invecchiamento della donna, secondo quanto pubblicato dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) (es. tasso di fertilità in donne che non impiegano contraccettivi) [93] e da Hamzelou (probabilità di concepimento per età) [94]. Considerando la distribuzione delle donne per classi di età registrata dal Ministero della Salute e applicandola a quella del gruppo in cui è stata utilizzata la contraccezione di emergenza, in base ai dati del NICE e Hamzelou, è stato stimato che la probabilità mediana di concepimento imprevisto è pari circa al 28% (IC95%: 18,5% - 34,8%) [10,93,94]. Secondo quanto recentemente pubblicato sulle frequenze di ricorso all’aborto in caso di gravidanza imprevista da parte di Bearak et al., in Europa il valore mediano corrisponderebbe a 46,6% (range: 45% - 53%) [3]. A questo punto, è possibile calcolare quante donne sul campione che ha impiegato la contraccezione di emergenza (n = 548.684) avrebbe potuto far ricorso ad una IVG: questo valore risulta equivalente a 71.669 (IC95%: 45.652 - 101.123) donne per l’anno 2018.
In conseguenza di quanto esposto in precedenza, si può stimare il totale delle donne che avrebbe potuto vivere l’esperienza di una gravidanza imprevista e di una successiva IVG e che costituisce il potenziale delle eleggibili alla prevenzione del ricorso alle stesse IVG con un trattamento molto efficace come quello ottenuto con i LARCs. Questo numero risulterebbe essere equivalente a 160.102 (IC95%: 131.980 - 190.451) donne e potrebbe generare un valore di spesa per il SSN pari ad oltre € 164 (IC95%: 135,2 - 195,1) milioni (Tabella 10), al netto dell’aggravio di costi associati alle complicanze e alle giornate di ricovero eccedenti la media.
Da tutto ciò si evince che il numero delle donne che potrebbe ricorrere alla IVG risulterebbe più che raddoppiato (2,1 volte) rispetto ai dati elaborati e pubblicati dal Ministero della Salute e dall’ISTAT [10, 14]. Per rigore metodologico, è opportuno precisare che da tali stime sono stati esclusi i casi di aborto spontaneo e di aborto terapeutico. Questi ultimi, si ritiene che corrispondano a circa un 4% dei casi registrati di IVG [95].
Obiezione di coscienza e diffusione dei consultori familiari
Un fattore che interviene sugli aspetti organizzativi essenziali per l’attuazione delle procedure di interruzione volontaria di gravidanza è costituito dall’obiezione di coscienza. La materia è naturalmente resa molto complessa dalla inseparabile commistione tra l’orientamento intellettuale, quello culturale e la inviolabile professione di fede.
Lo status di obiettore non esonera, tuttavia, il personale sanitario dal prestare l'assistenza antecedente e seguente all'IVG. Parimenti, il SSN è tenuto a garantire che, nelle sedi deputate, una prestazione accuratamente regolamentata dalla norma possa essere debitamente erogata. I dati relativi all’obiezione di coscienza sono attualmente rilevati dall’ISS mediante la somministrazione di un questionario nel quale ciascuna Regione indica il numero complessivo delle unità di personale sanitario obiettore e non obiettore. Per quanto la metodologia adottata per stimare il fenomeno sia appropriata, un errore sistematico intrinseco, connesso alla propensione soggettiva alla rilevazione stessa, potrebbe aver generato delle distorsioni. In Tabella 11 sono state incluse le numerosità dei ginecologi obiettori di coscienza suddivisi per aree geografiche.
Nonostante le evidenti fluttuazioni osservate nel corso degli anni compresi tra il 2014 e il 2019, con incrementi e decrementi variabili rispettivamente tra -27 e +35%, il numero medio dei ginecologi obiettori risulterebbe pari a 3.369 (±215) [10,12,96-98].
Sebbene l’analisi del valore assoluto del numero degli obiettori e del relativo trend temporale, per quanto interessante nel suo complesso, non manifesti una evidente dinamica che richieda un particolare monitoraggio, la distribuzione percentuale dei ginecologi obiettori sul totale dei ginecologi operanti a livello macro-regionale impone qualche riflessione. Nel nostro paese, nel periodo di tempo precedentemente citato, la percentuale media dei ginecologi obiettori è risultata equivalente a circa il 70% del loro totale (es. 69,4% ± 1,6%) [10,12,96-98]. L’ampiezza ridotta della deviazione standard è un indicatore di rigorosità del metodo applicato dall’ISS nella rilevazione e sottolinea che l’eccesso di variabilità osservato nel numero assoluto potrebbe essere più facilmente correlato con la propensione o meno a rispondere al questionario.
Le percentuali più alte di ginecologi obiettori si riscontrano al Sud e nelle Isole, con valori medi pari rispettivamente a 81,0 ± 1,9% e 77,2 ± 1,9%
(Figura 5) [10,12,96-98].